Storie, Costantino Rozzi e l’Ascoli

19 Settembre 2024 alle 17:53

Quello di Costantino Rozzi è un nome che risuona con forza e orgoglio nell’aria di Ascoli Piceno. Ben 26 stagioni alla guida dei bianconeri, diventando il volto stesso della squadra e il simbolo di una città in crescita. Dalla Serie C alla Serie A, Costantino Rozzi ha trascorso gli anni d’oro del calcio italiano, portando l’Ascoli a conquistare risultati straordinari. Una promozione in Serie B, ben quattro in Serie A, una Mitropa Cup e persino una partecipazione al torneo internazionale del 1980 in Canada sono solo alcune delle tappe del glorioso percorso. Nonostante i quinti e sesti posti in massima serie, l’Europa è rimasta un traguardo sfuggente, ma la sua eredità è indelebile. Ironico il destino di un uomo che mai avrebbe immaginato di ritrovarsi nel mondo del calcio. Geometra di professione, il pallone non era mai stato al centro dei pensieri. Guardando le auto affollare le strade di Ascoli durante i giorni di partita, si chiedeva con meraviglia chi fossero quei matti disposti a dedicare il loro tempo libero al calcio. Ma il destino aveva in serbo per lui una sorpresa. Un gruppo di amici, affascinati dalla sua aura di leadership e carisma, lo convinsero a prendere le redini della società. Un’idea che si rivelò essere un colpo di fortuna per tutti. Così, con carattere deciso e determinazione si lanciò nell’avventura nel calcio, trasformando l’Ascoli in una forza da non sottovalutare. La sua intuizione si rivelò vincente, portando la squadra a scalare le classifiche e a competere con i migliori club del paese. Non importava che il calcio non fosse la sua passione primaria; la sua dedizione e il suo amore per la città lo spinsero a dare il massimo per il bene della squadra e della comunità. Costantino Rozzi si trovò improvvisamente al timone dell’Ascoli Calcio. Era il 1968 e, con la sua visione e la sua determinazione, apportò immediatamente dei cambiamenti significativi alla squadra. Da un semplice pensiero trasformò un progetto ambizioso in una missione concreta: portare i bianconeri in Serie B. Sapeva che sarebbe stata una sfida ardua, ma provare era diventato un imperativo categorico. Tuttavia, per realizzare questo obiettivo, serviva qualcosa di fondamentale: una squadra competitiva. Aveva bisogno di giocatori capaci di rendere possibile ciò che sembrava irraggiungibile. Dopo aver visto sfumare i sogni di avere allenatori del calibro di Fabio Capello ed Evaristo Malavasi, l’attenzione dell’Ascoli si concentrò su un giovane allenatore che aveva dimostrato il suo valore guidando esclusivamente squadre giovanili. Si trattava di Carlo Mazzone, una vecchia conoscenza della città. Dopo i 6 anni trascorsi come calciatore, tornava a casa, questa volta per restare, prendendo in dote la panchina della squadra. Accettò l’offerta istantaneamente. I tre anni successivi sarebbero stati una vera e propria esplosione di successi, culminati con la conquista della Serie B. E la decisione del massimo dirigente di puntare su Carlo Mazzone si rivelò un colpo di genio. In un breve lasso di tempo, il patron non solo dimostrò di essere un manager competente, ma cambiò radicalmente il destino della squadra. Nonostante il successo in Serie B, non era soddisfatto di vivacchiare nel secondo livello del calcio italiano. Il suo obiettivo era ambizioso: portare l’Ascoli in Serie A. Ora, è tutto da contestualizzare: all’inizio degli anni Settanta, l’Ascoli Calcio rappresentava una sorta di enigma nel panorama della Serie B italiana. Per due volte sfiorò la promozione diretta in Serie A, nel 1973 mancando l’obiettivo per 1 punto. Tuttavia, quell’apparente sconfitta segnò l’inizio di una nuova era per la squadra marchigiana. L’anno successivo, l’Ascoli si riscattò con una straordinaria cavalcata che li portò al secondo posto in classifica, garantendo così la tanto agognata promozione in massima serie. Sin dall’inizio della stagione, era chiaro che i bianconeri stavano per compiere un’impresa epica. Cambiò tutto: la percezione della squadra, la forza dei giocatori. Ma rimase intatta la loro volontà di scrivere la storia. Questa era la spinta propulsiva di Costantino Rozzi, il presidente che sognava a occhi aperti. In soli tre mesi realizzò un vero miracolo: costruì praticamente dal nulla uno stadio con una capacità di 34.000 persone, pronto ad accogliere le grandi squadre della Serie A. Nonostante la rapidità della costruzione, lo stadio era un capolavoro di architettura e tecnologia, pronto a ospitare incontri emozionanti e avvincenti. La panchina dell’Ascoli restò naturalmente affidata a Carlo Mazzone. Dopo lo sfortunato debutto a Napoli, una settimana dopo al Del Duca, l’impianto appena inaugurato era gremito di tifosi che attendevano con trepidazione la partita contro il Torino. In un match combattuto, l’Ascoli riuscì a portare a casa il primo punto della stagione, ottenendo un pareggio prezioso. Il prosieguo della stagione fu caratterizzato da alti e bassi, con la squadra che si trovava in fondo alla classifica con soli 9 punti al giro di boa del campionato. Sembrava che solo un miracolo potesse salvare i bianconeri dalla retrocessione. Ma Costantino Rozzi non era uno che si arrendeva facilmente. Davanti alla situazione disperata, si rimboccò le maniche e lavorò. Come in ogni grande impresa, anche per l’Ascoli arrivò il momento in cui la storia prese una piega inaspettata. Quel momento fu segnato dal gol di Massimo Silva (icona storica con 102 presenze e 25 reti), segnato a Milano contro l’Inter di Giacinto Facchetti e Sandro Mazzola. Fu un colpo incredibile per la squadra ascolana, che si trovava in una fase cruciale del campionato. E fu l’inizio di una straordinaria cavalcata verso la salvezza. Quel gol dell’attaccante fra l’altro cresciuto nelle giovanili interiste fu come la ciliegina su una torta amara, ma anche incredibilmente dolce. L’Ascoli aveva affrontato un girone di ritorno pieno di sfide e di ostacoli, ma alla fine riuscì a ottenere la tanto agognata salvezza. La gioia e l’euforia della vittoria si trasformarono in lacrime quando Carlo Mazzone, l’allenatore che aveva guidato la squadra attraverso le tempeste, annunciò la sua decisione di lasciare la panchina. Costantino Rozzi accettò con tristezza la decisione del mister e lo salutò con un abbraccio caloroso e un in bocca al lupo per il suo futuro alla Fiorentina. Con la partenza del tecnico, terminò un’era gloriosa, ma il presidente non si lasciò abbattere. Ricominciò con un nuovo allenatore, Enzo Riccomini, per poi trovare una dolorosa retrocessione. L’anno successivo, con Mimmo Renna alla guida, l’Ascoli tornò nuovamente in Serie A, regalando alla città una stagione piena di vittorie e di emozioni. Negli anni 80, il presidente prese una decisione audace e richiamò Carlo Mazzone alla guida della squadra. Sembrò proprio che l’allenatore non si fosse mai separato da Ascoli, da quello stadio. Ogni salvezza divenne un momento di adrenalina e terrore, ma i due erano pronti ad affrontare qualsiasi sfida. Nel 1985, però, Carlo Mazzone si trovò di nuovo a un bivio e provò a dimettersi. Stavolta Costantino Rozzi rifiutò la sua decisione, ma dopo 15 giornate decise di salutarlo, chiamando al suo posto Vujadin Boskov. Nonostante la qualità e il carisma del serbo, non riuscì ad adattarsi e la squadra retrocesse immediatamente. Gli anni successivi furono dunque caratterizzati da lotte e battaglie per l’Ascoli, ma grazie agli sforzi di persone come Nedo Sonetti, i rapporti tra la squadra e la Serie A furono riallacciati. Alti e bassi come in ogni storia, finché nel 1994, Costantino Rozzi lasciò questo mondo in silenzio, circondato dalle persone che lo avevano amato e apprezzato attraverso il calcio. Oltre 30.000 persone si radunarono alla Cattedrale marchigiana per il suo funerale, per ringraziarlo per aver reso realtà quei sogni che avevano reso Ascoli una grande squadra nel calcio italiano. Da allora, Ascoli non è mai stata più la stessa, ma il suo ricordo e il suo legato continuano a vivere nei cuori dei suoi tifosi

di Cristiano Mezzi
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