Bari, un allenatore nel cuore: Enrico Catuzzi

10 Settembre 2024 alle 17:00

Se fai un giro nei vicoli di Bari Vecchia e chiedi di Enrico Catuzzi, le persone più anziane ancora oggi si commuovono. L’allenatore emiliano ha lasciato un segno profondo nella storia calcistica biancorossa. E’ mancato il 28/11/2006 stroncato da un infarto, lasciando la moglie Silvana e i figli Niccolò e Martina. La notizia sconvolse il mondo del calcio e i baresi in particolare. Andiamo a vedere la storia di un uomo che era stato il pioniere del gioco a zona, anticipando Nils Liedholm e Arrigo Sacchi. Chiusa anzitempo la carriera di calciatore, per un serio infortunio, a metà degli anni ‘ 70 Enrico Catuzzi cominciò ad allenare, proponendosi come uno dei pionieri appunto del gioco a zona, con il 4-3-3 predicato ai giovani dei vivai di Parma, Palermo e Bari. Proprio in Puglia, dopo l’ esonero di Mimmo Renna, nel 1981 il presidente Antonio Matarrese gli affidò la panchina della prima squadra in B. Nella stagione successiva, puntando sui ragazzini che aveva plasmato nella «Primavera», sfiorò con il Bari la promozione in serie A. Nicola Caricola, ceduto alla Juventus per 3 miliardi, Giorgio De Trizio, Onofrio Loseto, Michele Armenise, Angelo Frappampina, erano le sue creature. Aveva paura di viaggiare in aereo, non se ne vergognava: così, anticipava la squadra, partendo in treno e spesso anche in auto. Dopo Varese, Pescara, ancora Bari e Piacenza, era sceso in C1, a Mantova, poi tentò fortuna nel vivaio della Lazio e ancora in C1, con Vis Pesaro e Leffe. Non amava apparire troppo, esibirsi per guadagnare popolarità; quando gli si chiedeva un’ intervista, metteva subito i paletti: “Per quanto ne abbiamo? Vabbene, dai, facciamo in fretta…”. Eppure, da buon emiliano, era un grande comunicatore, giusto quello che serviva al Foggia del dopo Zdenek Zeman: Pasquale Casillo e Giuseppe Pavone scommisero su di lui e gli regalarono la gioia dell’ esordio su una panchina di serie A. A bordo campo, seduto nella Fiat 850 presa in prestito da un garagista, parlava del suo calcio, si dichiarava innamorato pazzo del suo lavoro: “Datemi un campo, solo sul campo non ho paura, lì posso confrontarmi con tutti”. Più Fabio Capello (come lui, voglio l’ occupazione degli spazi) che Arrigo Sacchi e Zdenek Zeman (puntano più sul pressing): il tecnico stupì in avvio di campionato con il Foggia, poi travolto dal crack finanziario di Pasquale Casillo e dal grave infortunio di Igor Kolyvanov. Dopo l’ avventura nella società rossonera, iniziò purtroppo la parabola discendente, che accettava con una certa sofferenza: “Cosa vuoi che ti dica, io non sono abituato a frequentare i salotti televisivi: chi mi vuole dare una panchina avrà anche difficoltà a rintracciarmi al cellulare, perché lo uso pochissimo”, si sfogava spesso dopo le parentesi sfortunate con Pistoiese, Como ed Acireale. Nel 2000 accettò di allenare il Cska Sofia: gli davano carta bianca, ma il presidente e fresco ex calciatore Ljuboslav Penev tentò di imporre il proprio ritorno in campo. “Arrivederci e grazie”, disse giustamente Enrico Catuzzi, poi richiamato e premiato come miglior allenatore dell’ anno. Sarà la sua ultima esperienza in panchina….

di Cristiano Mezzi
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